“Non sono italo
argentino, sono argentino. Ho soltanto il passaporto italiano e basta.” Lo ha
precisato è diffuso ampiamente Franco Colapinto. Il 21enne pilota di formula 1,
titolare della Williams non vuole che si dica che è italo-argentino. Eppure
questo è inevitabile in quanto è cittadino di entrambi i paesi. Dice di essere
argentino e di possedere il passaporto italiano ma nulla di più. Invece non è
così perché il documento di viaggio, uno dei più potenti al mondo, ce l’ha
perché possiede la cittadinanza italiana.
A tutti gli
effetti, quindi, il giovane pilota è e sarà sempre italo-argentino. Per evitare
questo, avrebbe dovuto fare a meno di ricostruire il suo albero genealogico con
i certificati di nascita, di matrimonio e di morte, tradotti e legalizzati, di
tutti i suoi antenati fino ad arrivare a quello, magari emigrato a fine ‘800, che
proveniva dall'Italia.
Franco Colapinto
qui non è l'unico a sbagliare. Anche la legge che considera chiunque in linea
paterna ha un antenato deceduto dopo il 1861 italiano per nascita. In Sudamerica
ce ne sono decine di milioni di persone che soddisfano questo requisito, tanti
hanno già ottenuto la nostra cittadinanza ed emigrano dal loro paese di origine
per motivi economici, raggiungendo gli Stati Uniti o l’Europa. Sono
extracomunitari di fatto che non biascicano una parola di italiano e che spesso
non sanno nemmeno dove si trovi la penisola dalla quale provenivano i loro
antenati. Si radicano in giro per il mondo e aumentano la domanda di servizi
consolari.
La legge sulla
cittadinanza, diventata ora il pomo della discordia all’interno della
coalizione di governo, va rivista non tanto per il famigerato ius scholae,
quanto per limitare per i nati all’estero a due generazioni la possibilità di
diventare italiani.