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martedì 18 settembre 2018

Ramfis Domínguez Trujillo e le sue aspirazioni presidenziali




Ramfis Domínguez Trujillo, il nipote di Leonidas Trujillo il famoso dittatore dominicano che ha governato tirannicamente la Repubblica Dominicana dal 1930 al 1961. Si presenta come candidato alle elezioni presidenziali del 2020. Apparentemente gode dell’appoggio di buona parte dell’elettorato. Su cosa si basa questo supporto e quali sono le sue reali possibilità come outsider di imporsi sugli altri partiti politici?
Ramfis Domínguez è nato a Manhattan, New York, nel 1970. È vissuto sempre negli Stati Uniti. Non è un dominicano nativo. Ha un ottimo carisma comunque. Buon oratore, conosce bene la storia e la geografia della Rep. Dominicana. Promette ordine a tutti i livelli, eliminazione definitiva della corruzione e della delinquenza.
Quali sono le sue possibilità di vittoria? Nessuna! Ramfis Domínguez fonda le sue aspirazioni presidenziali soltanto sul 25% del patrimonio genetico ereditato dal nonno dittatore.
Il governo di Leonidas Trujillo non si basava sulle capacità sue personali o sulla sua intelligenza ma sul controllo dell’esercito e delle forze di polizia e sull’appoggio incondizionato degli Stati Uniti che chiudeva un occhio o tutti e due davanti alle peggiori atrocità. Con queste premesse Trujillo è riuscito a imporre un sistema di governo spietato e sanguinario che farebbe oggi impallidire addirittura lo stesso presidente della Corea del nord.
Il 25% del patrimonio genetico di Trujillo di cui dispone Ramfis è troppo poco anzi niente per consentire che il suo progetto di governo possa realizzarsi. Serve tutto il resto: forze di polizia, esercito, uno staff adeguato di amministratori e l’accettazione nel mondo occidentale di tutte le violazioni possibili e immaginabili dei diritti umani. Improbabile solo vedendo il tutto da quest’ottica.
Ma un outsider che possibilità ha nella Repubblica Dominicana di diventare presidente? Esiste qui un margine per il populismo? Può avere successo un voto di protesta?
Le elezioni in America Latina e nella Repubblica Dominicana c’entrano solo marginalmente con le ideologie. La politica qui è innanzitutto un grande business.
Quanti sono i posti di lavoro che verranno spazzati via in caso di sconfitta del partito si governo? Oltre 700.000. E a questi vanno aggiunte le relative famiglie. Altrettanti sono coloro che aspirano a uno di questi posti. Anzi quando a maggio vince le elezioni il partito dell’opposizione, i suoi membri incominciano già ad aggirarsi presso le amministrazioni pubbliche per individuare un posto quanto più “adeguato” possibile e cosa si intenda per tale lo lascio all’immaginazione del lettore.
Ci sono inoltre i beneficiari della “tarjeta solidaridad” e cioè di coloro che ricevono sussidi da parte dello stato. Questi ammontano a oltre 2.000.000. Si tratta di persone che usufruiscono di queste forme di aiuto a prescindere dal partito politico di appartenenza. Tanti di loro potrebbero anche temere di perdere tale vantaggio economico. A questi vanno aggiunte le famiglie.
Ci sono poi coloro che vogliono la stabilità economica, coloro che invece desiderano una svalutazione del peso perché vivono delle rimesse che ricevono dall’estero.
Ci sono poi i seguaci di un candidato. Lo zoccolo duro di fedelissimi che certi personaggi si portano dietro. In particolare Leonel Fernández ma anche Hipólito Mejía.
Tenendo conto di tutto questo mi pare che non ci sia spazio alle prossime elezioni per una vittoria di Ramfis Domínguez Trujillo o di qualunque altro outsider.