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martedì 31 marzo 2015
Italiani di Santo Domingo: futuri fantasmi anagrafici e quasi apolidi?
Quando sono arrivato nella Repubblica Dominicana esisteva in loco una rappresentanza consolare da oltre un secolo e una comunità numerosa che si avvaleva dei suoi servizi. Nessuno avrebbe mai pensato che questa sede diplomatica sarebbe stata chiusa e che per avere gli stessi servizi consolari avremmo dovuto viaggiare in aereo e soggiornare per uno o più giorni in un paese estero. Nemmeno le imprese che si sono insediate numerose in questo paese potevano prevedere una situazione simile.
L'irragionevolezza del provvedimento di chiusura della nostra ambasciata è agli occhi di tutti. Tanto più che la si fa rientrare in un provvedimento di risparmio quando in realtà alle casse del nostro stato questa non costava nulla perché si autofinanziava: gli iscritti AIRE sono sufficientemente numerosi da coprire con il pagamento delle tariffe per le pratiche richieste le spese dell'ambasciata e 7.000 richieste di visto apportavano entrate annuali di circa 300.000 euro.
Ora che la nostra ambasciata non c'è, dobbiamo rivolgerci a quella di Panama. Una situazione che soltanto i più abbienti potranno affrontare perché i costi del trasferimento e del soggiorno a Panama non sono sostenibili per chi vive e lavora da queste parti e nemmeno per i pensionati che vi si sono trasferiti.
Le alternative al viaggio a Panama sono lettera morta per il semplice fatto che i consoli onorari non remunerati sono adatti per località con un esiguo numero di residenti e il "funzionario itinerante" non rappresenta una soluzione quando gli iscritti AIRE sono troppo numerosi come nel caso nostro.
Il consolato lap top trova posto solo nella mente di Mario Giro, sottosegretario agli esteri e soprattutto dirigente della Comunità di Sant'Egidio, un doppione del MAE, in evidente conflitto d'interesse con il MAE. La nostra comunità è troppo grande perché un consolato laptop possa risolvere i suoi problemi.
L'alternativa più a buon prezzo per la Farnesina è la riapertura dell'ambasciata di Santo Domingo.
Così come stanno le cose ci sono situazioni nelle quali rischiamo di diventare dei veri e propri apolidi o dei "fantasmi anagrafici". Situazione che potrebbe presentarsi in caso di scadenza, distruzione, smarrimento o furto del passaporto. Non avendo i mezzi per recarci in Italia, unica soluzione possibile, e per rimanerci là circa un mese per il rilascio di un nuovo documento, alla lunga, scadendo pure la residenza dominicana, diventeremmo a tutti gli effetti dei fantasmi anagrafici, senza documenti per fare operazioni in banca, contratti per servizi pubblici, gestione di un'attività commerciale e nemmeno per guidare una macchina sul posto o sposarci o riconoscere figli e tant'altro. E quel che è peggio: fermati in occasione di controlli della polizia verremmo considerati dei fuorilegge in quanto privi di documenti validi.
La chiusura dell'ambasciata d'Italia non è legata allo scandalo dei visti
Prima di continuare a esaminare nel dettaglio la nostra situazione come comunità italiana iscritta all'AIRE di Santo Domingo dopo la chiusura della sede diplomatica, è opportuno sfatare un convincimento assai diffuso.
Molti membri della nostra comunità sostengono, e continuano a sostenere non importa cosa gli si dica, che il provvedimento di chiusura sia legato al traffico dei visti scoperto nel 2013. Le proporzioni di questa vicenda sono state ingrandite a dismisura dalle voci di corridoio. E se ne sono sentite e se ne sentono ancora di tutti i colori.
Tanto fumo e poco arrosto! È facile parlare di milioni di euro, di migliaia di visti venduti a un determinato prezzo e di un numero imprecisato ma elevato di dipendenti e addirittura diplomatici coinvolti.
Di fatto c'è stato solo un licenziamento e l'ambasciatore volontariamente ha abbandonato la missione, il che significa che è rientrato a Roma dove, se non si è pensionato o se non è stato trasferito altrove, continua a lavorare. Gli altri impiegati contrattisti e di ruolo, a seguito della chiusura dell'ambasciata, sono stati assunti da altre sedi diplomatiche o rispettivamente destinati ad altre sedi diplomatiche o rientrati a Roma presso la Farnesina.
Quindi questo traffico dei visti è fondamentalmente una vicenda le cui proporzioni sono presunte ma non convalidate da fatti concreti come sanzioni o cifre e responsabilità accertate dalla Procura della Repubblica di Roma e non esiste, che si sappia, alcun processo avviato con dei rinvii a giudizio.
Del resto l'ambasciata non è un negozio o una società che si possa chiudere per delle irregolarità commesse nell'esercizio di un'attività commerciale. Essa eroga ai cittadini italiani dei servizi consolari e altro previsti dalla legge e dalla costituzione. Equivale al comune di residenza e quindi potrebbe essere commissariata, ispezionata, ma mai chiusa. Vi immaginate una questura che venga chiusa per delle irregolarità e che quindi non rilasci più passaporti o di un comune commissariato che non faccia più pratiche anagrafiche? Assurdo!
Sarebbe pertanto bene che ci focalizzassimo sui nostri diritti ai servizi consolari, lasciando perdere il fantomatico traffico dei visti. La regolarità e legalità della gestione dell'ambasciata spetta al MAE. A noi spetta il diritto di ricevere i servizi consolari. Tutto lì.
Vi invito a leggere l'intervista al sottosegretario Mario Giro fatta nel giugno del 2014 da Ricky Filosa e pubblicata sul Listín Diario.
Copio e incollo uno scorcio di questa intervista. Giro precisa: “Purtroppo l’anno scorso sono state rilevate delle forti irregolarità nella concessione dei visti da parte dell’ambasciata d’Italia a Santo Domingo. C’è stata un’ispezione e sono stati puniti alcuni funzionari. L’ambasciatore è stato cortese e ha lasciato il servizio. È tutto nelle mani della procura della Repubblica e vedremo la procura cosa farà e cosa deciderà. Questo è un punto da tener presente, perché quando si tratta di servizi, questi servizi devono essere senza macchia”.
Ma allora l'ambasciata chiude perché fonte di irregolarità? “No, le cose non sono collegate. Si chiude, come ho spiegato, per ragioni di bilancio (…)".
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