Quando mi trovavo
al suo cospetto, lo salutavo riverente. Lo chiamavo “maestro” e guardandolo
fisso negli occhi cercavo di comunicargli tutta la mia sincera ammirazione. Il
mio non era però un atteggiamento per lui inconsueto. Era avvezzo a questi
complimenti, come del resto anche quando gli si diceva che da giovane era stato
più affascinante di Sean Connery o di Alain Delon. Nessuna novità. Guardava nel
vuoto e ricordava. Un uomo baciato dalla fortuna, colto di una cultura che
ormai sta scomparendo, fatta a base di studi dei classici, del latino e del
greco e per di più avvenente come le star di fama mondiale. Ermanno Filosa, un personaggio che abbiamo avuto l'onore di conoscere nella Repubblica
Dominicana. Aveva fatto parte della
cerchia dei protagonisti della storia italiana del secolo XX. Laureato in legge
e in filosofia. Un grande oratore, uno scrittore immenso. Le parole fluiscono nella sua prosa con un’armonia fonica che ricorda la poesia. La semantica è innovativa. I contenuti dei suoi testi sono profondi. Non per niente eravamo
tutti in attesa del suo “pezzo”. Mi diceva Giovanni Garibaldi, il direttore del
Corriere Caraibi: “Ermanno mi ha promesso un articolo”. Tanto bastava perché
attendessimo in ansia questo importantissimo evento. Ed era di parola. Accondiscendeva
alle richieste di Giovanni con la generosità che contraddistingue chi ha una
profonda ricchezza interiore. Un suo articolo equivaleva a un dipinto con forti
pennellate, a una sinfonia di suoni armoniosi, a un’esposizione di sue
originali riflessioni per lo più dopo tanti anni ancora valide.
Ermanno Filosa è
morto, ma la sua opera è ancora consultabile, il suo stile è piacevole e il suo
pensiero è attuale. Scriveva in un suo articolo del 2007:
26.05.07- «Viviamo
in un mondo ricco di contraddizioni. A volte non sappiamo chi siamo e verso
dove andiamo. Ci sentiamo alla deriva; abbiamo l’impressione che i nostri
valori siano incompatibili con il flusso del divenire quotidiano. Ci sentiamo
senza meta. Forse smarriti. Eppure dobbiamo tirare avanti, vivere. Per noi
stessi, per i nostri cari, per i nostri figli. Non possiamo perdere la fedeltà
verso i nostri valori che per decenni ci siamo costruiti; e riflettiamo sulle
cose che ci capita di leggere in relazione alle vicende del mondo. Ed è
possibile che ci sentiamo confortati, osservando che a volte i nostri tormenti
non sono proprio così “solitari “.»