Di questi giorni nessuno stato varca i
confini di un altro per espandere il proprio territorio. Si tratterebbe di una
scelta molto costosa in termini economici e di vite umane. Comunque se dovesse
capitare qualcosa del genere, chi si assume i costi e i rischi di tale aggressione
o di combatterla a oltranza dovrebbe avvalersi di un sistema di reclutamento
militare obbligatorio perché i mercenari e i militari di carriera non si
presterebbero a diventare carne da
cannone. E questo è proprio il caso della Federazione Russa e dell'Ucraina. Dopo
un anno di ostilità, si contano già centinaia di migliaia di soldati morti da
una parte e dall'altra, si vedono camion che caricano con le gru cadaveri uniformati
e li scaricano in fosse comuni.
Alla base di tutto non c'è però una
volontà di acquisizione con la forza da parte della Russia dei territori di un
paese straniero. C'è invece il concetto di “patria” che anche a noi italiani ha
provocato negli ultimi 150 anni moltissimi lutti. Entrambi i belligeranti
combattono per la “patria”: da una parte gli ucraini perché la Crimea e le
regioni annesse alla Russia recentemente fanno parte del suo territorio,
dall'altra i russi perché gli abitanti di queste regioni sono etnicamente russi
e il loro diritto di mantenere la lingua e la cultura russa era stato rimosso
dal governo ucraino ed era in corso una sorta di pulizia etnica tipo quella cui
ci hanno abituato a suo tempo i popoli
dell'ex Jugoslavia.
Siamo in presenza, quindi, di una guerra
“giusta” per entrambe le parti. Avrà ragione chi si imporrà militarmente, visto
che le trattative non servono come dimostrano gli Accordi di Minsk, ignorati
dagli ucraini.
Ci sarebbe da verificare attentamente se
questa è una guerra vera e propria o una specie di guerra civile.
Ai posteri l’ardua sentenza…