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sabato 16 marzo 2019

Ma cosa hai messo nel caffè?



Ricordo sempre una signora che abitava nel mio stesso isolato. Una vicina sessantenne, proprietaria di una casa e appartenente alla categoria dei “dominican york”, vale a dire i dominicani con residenza negli Stati Uniti. Si chiamava Josefina ed era una nota avvelenatrice di cani randagi e di gatti che bazzicavano nell’area. Ed è per questo che era invisa ai più. Soprattutto per i gatti i cui spostamenti sono difficilmente controllabili ma che sono sempre amati nelle famiglie che li tengono.
E questa sua abilità nel provocare la morte degli animali faceva pensare che si servisse di un veleno più potente di quello in vendita nei negozi. Corre voce infatti che in entrambi i paesi dell’isola Hispaniola esistano una trentina di veleni che non solo sono potenti, ma di cui dopo 24 ore non restano tracce. Eredità delle culture taine e africane vudù. Questo ovviamente in caso di un’eventuale autopsia, la quale peraltro veniva eseguita al tempo molto raramente e anche oggi non è che si faccia sempre.
Ma Josefina era rimasta vedova due volte e si diceva che i defunti coniugi erano già sul piede di partenza, di chiudere la relazione con lei, quando sono morti, entrambi per infarto, almeno questo era stato il referto del medico legale.
Qualcuno diceva vista la sua passione per i veleni che quei poveracci erano stati le sue vittime.
E fin qui niente di particolare.
Josefina vendette la sua casa e si trasferì in un appartamento a qualche chilometro di distanza. Essendo amica di mia moglie, un giorno su insistenza di questa andammo a trovarla. Ci sedemmo sul terrazzo e a un certo punto Josefina ci chiese se volevamo un caffè. Io accettai e mia moglie rifiutò. Quando Josefina arrivò con il vassoio e con la tazzina sopra, non so cosa mi passò per la testa, ma dissi di non aver più voglia di caffè, che mi dispiaceva di rifiutarlo ma che non lo volevo. Allora mia moglie prese la tazzina dal vassoio e se la portò alle labbra forse desiderosa che la sua amica non si sentisse a disagio. E qui ricorderò sempre il gesto veloce con il quale Josefina le afferrò il braccio e le tolse la tazzina impedendole di bere il primo sorso.
Evidentemente quel caffè era destinato solo a me. Ho sempre pensato che se sono ancora vivo lo devo anche a tutta una serie di circostanze fortuite come ad esempio questa.