Ad avviare la spirale del debito in Argentina è stato l’ex
presidente Mauricio Macri che ha contratto con il Fondo Monetario
Internazionale un finanziamento di circa 44 miliardi di dollari e che in
quattro anni ha portato il debito estero dell’Argentina da 63 miliardi di
dollari nel dicembre 2015 (14% del PIL) a 167 miliardi di dollari (40% del PIL).
Al riguardo esiste un’indagine giudiziaria denominata FMIgate. L’accordo con il
FMI è stato segnalato come un atto criminale sia per il modo in cui è stato stipulato
senza adempiere le disposizione di legge sia per l’utilizzo delle somme
ricevute contrario allo statuto del FMI.
Il fallimento dell’Argentina è fortemente voluto da chi
ambisce appropriarsi delle sue ingenti risorse e probabilmente di suoi
territori. I traditori sono alla vista di tutti, si accodano ora dietro a Javier
Milei, un’apparente novità che tale non è se si pensa che il suo cavallo di
battaglia è eliminare la casta politica e farla finita con la corruzione. Un
tema che attecchisce sempre sull’elettorato, che spesso consente di raggiungere
il potere, ma che non viene mai attuato. Si tratta di un impegno apparente, un’esca
efficace per ottenere voti e basta. Per il resto Milei punta al liberismo
totale che con la libertà centra poco, e all’abbandono del peso con chiusura
della banca centrale e dollarizzazione dell’economia. Tutto questo in tempi in
cui il dollaro sta per subire un forte crollo a livello mondiale e in cui l’Argentina
è stata accolta nel BRICS un’organizzazione di stati ricchi di materie prime
che effettuano le loro transazioni in monete diverse dal dollaro.
L’Argentina puntando sul valore delle sue risorse uscirà
dal tunnel nel quale Mauricio Macri l’ha introdotta e lo farà in tempi brevi.
Seguire Milei equivale a far fallire l’Argentina. E questo per il semplice
fatto che la corruzione dei politici è un male noto e diffuso in tutto il mondo,
ma non è tanto grave quanto la volontà di depredare una nazione delle sue
risorse e dei suoi territori per saldare il debito esterno.