Basta un antenato
in linea paterna giunto in Argentina, ad esempio, non prima del 1861, anno
dell'Unità d'Italia, per avere diritto alla cittadinanza italiana. Dopo diverse
generazioni in cui nessuno degli antenati si è presentato alla sede diplomatica
del posto per rivendicare questo diritto, un discendente ricostruisce l'albero
genealogico, apportando la relativa documentazione, e diventa italiano “per
nascita” vale a dire che è sempre stato italiano. Più che di jus sanguinis, in
questo caso si potrebbe parlare di jus gutae sanguinis, diritto della goccia di
sangue, e nulla di più. Eppure il concetto di “patria” italiano è legato più
che al sangue alla lingua, alla letteratura, alle tradizioni, all'arte, alla
musica, alla storia, alla gastronomia e alla cultura in genere. Nulla di tutto questo
ci accomuna con la maggior parte degli oriundi.
Quella italiana è
l’unica cittadinanza trasmissibile, da quanto stabilito dal decreto di Giolitti
del 1895, a coloro i cui avi in linea paterna emigrarono dopo l’unità d’Italia avvenuta
nel 1861. Successivamente è intervenuta la corte costituzionale che ha esteso
il diritto alla cittadinanza anche ai discendenti di madre italiana nati dopo
il 1948, data di entrata in vigore della costituzione. Tuttavia, rivolgendosi
ai tribunali si può persino ottenere la cittadinanza italiana per via materna
se si è discendenti da una donna italiana giunta non prima del 1861. A tutto
questo si aggiungono i tribunali che concedono la cittadinanza anche ai
discendenti di un italiano espatriato prima del 1861. Recentemente a una donna
brasiliana, il tribunale di Genova ha riconosciuto la cittadinanza italiana
sulla base di un antenato nato nel 1783 a Savona.
Si dice che sono
80 milioni coloro che potrebbero rivendicare la cittadinanza italiana sulla
base dello ius sanguinis, una cifra di gran lunga superiore a quella della
popolazione italiana residente nella penisola.