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venerdì 13 settembre 2024

Ius sanguinis o ius gutae sanguinis?

 



Basta un antenato in linea paterna giunto in Argentina, ad esempio, non prima del 1861, anno dell'Unità d'Italia, per avere diritto alla cittadinanza italiana. Dopo diverse generazioni in cui nessuno degli antenati si è presentato alla sede diplomatica del posto per rivendicare questo diritto, un discendente ricostruisce l'albero genealogico, apportando la relativa documentazione, e diventa italiano “per nascita” vale a dire che è sempre stato italiano. Più che di jus sanguinis, in questo caso si potrebbe parlare di jus gutae sanguinis, diritto della goccia di sangue, e nulla di più. Eppure il concetto di “patria” italiano è legato più che al sangue alla lingua, alla letteratura, alle tradizioni, all'arte, alla musica, alla storia, alla gastronomia e alla cultura in genere. Nulla di tutto questo ci accomuna con la maggior parte degli oriundi.

Quella italiana è l’unica cittadinanza trasmissibile, da quanto stabilito dal decreto di Giolitti del 1895, a coloro i cui avi in linea paterna emigrarono dopo l’unità d’Italia avvenuta nel 1861. Successivamente è intervenuta la corte costituzionale che ha esteso il diritto alla cittadinanza anche ai discendenti di madre italiana nati dopo il 1948, data di entrata in vigore della costituzione. Tuttavia, rivolgendosi ai tribunali si può persino ottenere la cittadinanza italiana per via materna se si è discendenti da una donna italiana giunta non prima del 1861. A tutto questo si aggiungono i tribunali che concedono la cittadinanza anche ai discendenti di un italiano espatriato prima del 1861. Recentemente a una donna brasiliana, il tribunale di Genova ha riconosciuto la cittadinanza italiana sulla base di un antenato nato nel 1783 a Savona.

Si dice che sono 80 milioni coloro che potrebbero rivendicare la cittadinanza italiana sulla base dello ius sanguinis, una cifra di gran lunga superiore a quella della popolazione italiana residente nella penisola.