L’epidemia,
iniziata il 7 gennaio 2022, ha già causato la chiusura di diversi mercati
internazionali con oltre mezzo miliardo di danni alle imprese. Ecco perché dopo
oltre due anni d’emergenza il governo Meloni ora punta tutto su esercito e
cacciatori.
Senza un’azione
decisa da parte del governo, la peste suina africana (Psa) rischia di mettere
in ginocchio l’intero sistema produttivo dei salumi italiani. Si tratta di una
malattia innocua per l’uomo, ma che causa un’elevata mortalità tra gli animali
che ne vengono colpiti. A oltre due anni dall’inizio della pandemia, la luce in
fondo al tunnel per allevatori di suini e aziende trasformatrici è ancora
lontana. I vertici delle associazioni di categoria hanno lanciato da tempo il
loro grido di allarme e ora, dopo mesi di incertezze e ritardi, l’esecutivo
Meloni è pronto a mettere in campo anche l’esercito.
“È chiaro che se
la Psa si è diffusa vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Ma c'è ancora
spazio per intervenire e per fare qualcosa di serio: non possiamo permetterci
che il virus passi dal cinghiale al suino”, afferma Stefano Fanti, direttore
generale del Consorzio del prosciutto di Parma. Il terrore di allevatori e
trasformatori è finire nelle aree soggette a maggiori restrizioni, stabilite a
livello europeo, con conseguenti forti limitazioni alla produzione e
all’export. Il punto è che per essere ricompresi in queste “zone rosse”, non è
necessario che il virus sia penetrato dentro gli allevamenti, ma è sufficiente
che circoli nei territori circostanti.