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venerdì 8 giugno 2018

Mario Cavagliano il vercellese dipendente della nostra ambasciata che nel 1961 salvò il tirannicida Antonio Imbert Barreras, ma non solo…




Si ricorda in questi giorni il 57esimo anniversario dell’uccisione di Rafael Leonidas Trujillo. Un evento che ha cambiato il corso della storia dominicana del secolo ventesimo dopo trent’anni di ferrea dittatura. Un ritorno alla democrazia.
Con l’occasione si parla degli esecutori materiali del tirannicidio che sono considerati eroi a tutti gli effetti. Furono in tutto sette quelli direttamente implicati e altri ancora i coinvolti in modo indiretto. Soltanto due sono sopravvissuti. Uno grazie all’ìntervento di una coppia di connazionali, i coniugi Mario Cavagliano e Dirce Strozzi. Gli altri sono stati giustiziati da Ramfis Trujillo, figlio del tiranno.
Mario Cavagliano, classe 1913, alpino reduce della seconda guerra mondiale, era un dipendente dell’ambasciata italiana e anche se ciò non appare univocamente nei resoconti contraddittori che un po’ alla volta emergono, abitava al suo interno insieme alla sua famiglia. Lo si definisce talvolta funzionario importante, addirittura console. Invece la sua funzione era modesta, essendo in realtà un usciere. Al tempo, nelle sedi diplomatiche abitava di solito un connazionale alle dipendenze della Farnesina con la qualifica di usciere e fungeva da custode e factotum, un punto di riferimento all’interno e all’esterno, come difatti fu Mario Cavagliano, originario di Vercelli, per tanti anni.
Ed è lì che si rifugiò Imbert Barreras il 2 giugno 1961, tre giorni dopo la sua partecipazione all’omicidio di Trujillo. Ce lo portò un oriundo, al tempo console onorario, con la sua autovettura munita di targa diplomatica. Entrò all’interno dell’ambasciata e dopo che il fuggiasco, pistola in mano e pronto a tutto, abbandonò il veicolo, ripartì subito per non destare sospetti. Le strade erano ormai setacciate dalla polizia e dai delatori o “calieses” alla ricerca degli autori del tirannicidio di cui erano già noti i nomi.
L’oriundo in questione fu Francisco Ranieri, il padre di Frank Ranieri oggi presidente del Grupo Puntacana.
Anche Francisco Ranieri aveva partecipato indirettamente alla congiura. Era molto amico di Antonio Imbert Barreras con il quale aveva anche vincoli di parentela. In quel preciso momento non c’era un ambasciatore in carica nella nostra sede diplomatica. Si parla di un primo segretario della missione di cognome Trotti che sarebbe stato a conoscenza di tutto e che avrebbe acconsentito a dare rifugio a Imbert. In fondo un posto più sicuro di così difficilmente sarebbe stato possibile trovare. 
Antonio Imbert Barreras ci rimase in via Rodriguez Objio per sei mesi. Dopodiché uscì tranquillamente per la strada e si presentò in pubblico. Cinque dei sette attentatori morirono sotto atroci torture e altri complici fecero la stessa fine.
Imbert Barreras raccontò che durante il giorno rimaneva rinchiuso nella sua abitazione e di notte si recava nell’atrio adiacente dove ascoltava la sua radio protetto da un alto muro che lo separava dalla strada. Non occorre altro per farci capire che si trovava in via Rodriguez Objio.
I coniugi Cavagliano abitavano lì insieme alla figlia diciassettenne Liliana. Il figlio Gianni studiava in Italia.
Mario Cavagliano ha salvato Antonio Imbert Barreras, mettendo a rischio la sua vita e quella della sua famiglia. E ha salvato anche altri come avremo modo di vedere. Non si può quindi che confermare una partecipazione diretta della nostra sede diplomatica a favore degli oppositori del regime dittatoriale di Trujillo. Il tutto è rimasto negli anni abbastanza coperto, ma dopo la morte dell’eroe superstite del 30 di maggio, avvenuta nel 2016, proprio il 31 maggio, all'età di 96 anni, tante cose sono venute a galla e una di queste è la vicenda dell’occultamento di Antonio Imbert Barreras.
Più rocambolesco fu il salvataggio dell’oriundo Guido D’Alessandro (Yuyo), figlio dell’ingegnere pugliese che costruì tra l’altro anche il palazzo della presidenza. Un suo fratello fu vittima del regime ma Yuyo riuscì a salvarsi per il rotolo della cuffia grazie all’intervento di Mario Cavagliano e dell’interessamento dell’allora ambasciatore H. Solari. Dopo qualche giorno trascorso all’interno della sede diplomatica, ospite del vercellese, mascherato da turista, qualcuno dice, da prete, con una macchina fotografica, una copia del Times di New York sotto braccio e una parrucca bionda riuscì a imbarcarsi nel vaporetto SS Victoria dove venne accolto dal prete di bordo a seguito dell’opera di convincimento del vercellese. L’oriundo riuscì quindi a partire per Porto Rico da dove continuò a battersi con pubblicazioni sui giornali contro la tirannia di Trujillo. A proposito della sua fuga c'è da aggiungere che Guido D'Alessamdro ha sempre sostenuto di essere fuggito travestito da suora. Questa dovrebbe essere la versione più attendibile. L'oriundo è stato ambasciatore dominicano in Italia e tra i suoi collaboratori c'era anche il diplomatico e tenore italo-dominicano Enrique Pina.
Ma una volta fatto fuori il dittatore non è che tutto si sistemò definitivamente. Siamo nei Caraibi! C’è stata la guerra civile nell’aprile del 1965 con l’invasione dei marine statunitensi.
E anche qui vediamo un notevole protagonismo della nostra sede diplomatica. Vi hanno trovato rifugio si dice Manolo Tavarez e addirittura Francisco Peña Gomez. A sistemare le cose sempre il solito Mario Cavagliano.
Si parla anche di un colloquio avuto con l’ambasciatore italiano in carica dal colonnello Ilio Capocci, il sommozzatore italiano ex Decima MAS che istruì un corpo di elite dominicano, gli uomini rana, che diede molto filo da torcere agli americani. Il militare italiano abbracciò la causa dei costituzionalisti e trovò la morte nel palazzo della presidenza in un assalto temerario. Ma a questo punto è lecito chiedersi se Ilio Capocci parlò al telefono con l’ambasciatore o con Mario Cavagliano. Sta di fatto che finito il colloquio l'ex Decima MAS sostenne che “un uomo non può scegliere dove nascere, ma sì dove morire”.
Qualcuno si chiede come mai tra tanti eroi dominicani ai quali sono stati dedicati strade dappertutto, non ci si è ricordati di Mario Cavagliano che ne ha salvati più di qualcuno. Una domanda giusta! Speriamo che in occasione del 120esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra l’Italia e la Repubblica Dominicana ci si ricordi anche di questo connazionale e di sua moglie. In fondo se lo meritano!