Massimo D'Alema è involucrato in un affare di vendita di armi alla Colombia. Ci sono le registrazioni che lo inchiodano. A sua difesa il nano, in termini etici, Massimo D’Alema, sostiene di non avere incassato un euro. Chissà, forse è anche vero e forse no, ma questo non significa molto. Quel che conta è l’animus, l’intenzione di incamerare per un’intermediazione nella vendita di armi 80 milioni di euro da lui stesso manifestata in una registrazione che ha diffuso il giornale La Verità.
Massimo D'Alema, politico da sempre, comunista, figlio di un partigiano comunista, ex premier, amante dei panfili e dei lussi, percettore di pensioni d'oro e di chissà quante altre rendite, non ne ha abbastanza e non storce il naso davanti all’occasione di fare affari loschi o contrari alla legge e all'etica.
L’emergenza bellica, imposta da Draghi in Italia, e che si affianca a quella sanitaria tuttora vigente spiana la strada alla percezione di provvigioni per intermediazioni e soprattutto di insospettabili e voluminose tangenti senza alcun rischio. Non sussiste l’obbligo di indire gare o bandi in relazione agli acquisti. Lo abbiamo già visto con i banchi con le rotelle e con le mascherine, per i quali sono stati spesi centinaia di milioni.
Si potranno, quindi, acquistare armi anche di scarsa qualità e obsolete a prezzi altissimi in quanto si tratta di donazioni che sono dirette all’Ucraina dove chissà non arriveranno mai e che comunque il destinatario non potrà che accettarle visto che “a caval donato non si guarda in bocca”.
Di tutto questo, l’industria bellica sarà ben lieta e grata.