La Repubblica Dominicana, un Paese del terzo mondo? La
risposta immediata sarebbe affermativa. Ripensandoci ci si rende conto che non
è una domanda alla quale si può rispondere con un Sì o con un NO. Dipende da
tante cose, per certi aspetti forse è terzomondista e per certi altri
sicuramente non lo è.
Ad esempio quando mi tocca rinnovare la patente di guida, mi
sorprende sempre la celerità dell’esame. In dieci minuti ti intervistano, ti
ritirano il documento scaduto, ti fanno l’esame della vista e della capacità
uditiva, ti prendono le impronte digitali, ti scattano la foto e ti consegnano
il documento nuovo di zecca, semplicemente cambiando poltrona in uno stesso sportello
con più impiegati. Il tutto in un locale moderno, con personale gentile,
simpatico e disponibile e con un’attesa in fila di pochi minuti che si
trascorre seduti su comode poltrone.
Invece il rinnovo della residenza permanente presenta un
aspetto terzomondista e uno all’avanguardia. Mi spiego: se la residenza è
permanente per quale ragione va rinnovata ogni quattro anni con il pagamento di
una tassa pari a circa 250 euro? Questo è l’aspetto poco convincente che
ricorda un legame ad antiche e complesse burocrazie tramandate dalle
amministrazioni spagnole. Il processo invece di rinnovo lo si fa interamente
online. Quando i documenti necessari sono pronti, questi devono essere
scannerizzati e caricati nella pagina ad hoc del rinnovo, dopodiché si riceve il
nulla osta alla presentazione negli uffici di “Migración”.
Un altro aspetto dove si è assolutamente all’avanguardia
nella Repubblica Dominicana è nei rapporti interbancari internazionali,
soprattutto con le società off-shore, cioè quelle che hanno sede nei paradisi
fiscali. Di questo si parla sempre sui giornali e si è anche consapevoli che tali
società comportino una grande perdita di prodotto interno lordo perché
consentono agli esportatori e agli importatori di abbassare i volumi delle
vendite o di elevarli rispettivamente attraverso la loro intermediazione. Una
situazione questa più terzomondista che da paese industrializzato come del
resto lo sono anche i limiti dell’uso di contanti che sono talmente elevati, nonostante
le ultime restrizioni, che non si può non ritenere questo Paese un paradiso dei
contanti e del lavaggio di denaro. Questi sono aspetti che aprono una porta
grandissima alla corruzione politica e alla proliferazione di attività delittive,
in particolare il narcotraffico, l’usura ecc.
Recentemente è salita alla ribalta delle cronache dei
giornali un’intervista dell’ex ministro dei trasporti dominicano Diandino Peña che
candidamente in tale occasione ha ammesso di possedere una rete di 29 società
delle quali 15 con sede in paradisi fiscali. Queste società off-shore di
cassetto sono tutt’altro che inattive. Una di loro ha finanziato la costruzione
di uno dei più grandi grattacieli della capitale dominicana, il Diandy XX, adibito
a hotel con oltre 1000 camere. L’importo una quisquilia: 82 milioni di dollari!
Se questa permissività nei confronti di operazioni che favoriscono
la corruzione politica in generale, l’evasione fiscale e l’attività delittiva
fanno scendere la Repubblica Dominicana di qualche gradino verso il
terzomondismo, la reazione della gente è sicuramente all’avanguardia. Davanti
alle dichiarazioni dell’ex ministro ci sono state forti reazioni della stampa e
dell’opinione pubblica: il ministro è stato destituito.
E fin qui mi sono soffermato sulla Repubblica Dominicana.
Certo noi in Italia abbiamo delle leggi ben precise che vietano o penalizzano i
rapporti di intermediazione, i pagamenti a e gli incassi da società off-shore.
I limiti dei pagamenti in contanti sono addirittura assurdi per quanto sono
bassi. E fin qui qualche punto a nostro favore.
Il problema è l’apatia dell’opinione pubblica che è sorprendente. Ad esempio, la nostra comunità ha subito un trattamento
estremamente ingiusto da parte del ministero degli affari esteri. La nostra
sede diplomatica è stata rimossa per motivi di risparmio, mentre questa si autofinanziava
ed era funzionante in strutture di proprietà demaniale. Prima ancora, nel
giugno del 2013, sono state sospese le erogazioni di visti da parte del nostro
consolato perché sussisteva il sospetto che esistesse un traffico degli stessi.
Questo traffico non è mai stato dimostrato. Eppure in una situazione di
problemi economici e di necessità di risparmio del nostro Paese, i funzionari
della Farnesina hanno rinunciato senza battere ciglio a qualcosa di più di un
miliardo di euro di incassi a titolo di tariffe per i visti da giugno 2013 alla
fine di dicembre del 2014.
Ma arriviamo al punto: l’esternalizzazione dei visti è stata
affidata per tutto questo tempo a una società avente sede in un paradiso
fiscale, una società off-shore della quale nulla si sa né sull’assetto
societario né sui ricavi né tanto meno sui pagamenti. Esiste il lecito sospetto
che i funzionari della Farnesina abbiano tratto vantaggio da questa
esternalizzazione.
Invece, la reazione dei nostri connazionali a questa
situazione scandalosa è stata così abulica e indifferente che da questo punto
di vista sì che possiamo ritenerci terzomondisti!