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giovedì 8 giugno 2017

La tipologia degli taliani all'estero è cambiata. Non arrivano più le loro rimesse, non intendono più tornare a "casa". Non pagano le tasse in Italia e ci sono anche tanti pensionati che spendono all'estero quello che ricevono dallo Stato italiano

La situazione quindi è cambiata. Comunque chi vive all'estero continua sempre a dare un contributo positivo all'economia dell'Italia. Innanzitutto promuove il made in Italy in tutti i suoi aspetti e poi c'è pur sempre il turismo di ritorno nonché la domanda di servizi culturali legati alla lingua italiana. L'estero è un territorio di conquista da parte delle imprese italiane. Quanto maggiore è il numero di italiani residenti all'estero, quanto più fitta è la rete consolare, tanto più agevolate sono le imprese italiane nel promuovere i loro affari e questi apportano sempre aumenti del PIL e dell'occupazione all'economia italiana. Per quel che riguarda i pensionati penso proprio che abbiano diritto a spendere le loro pensioni dove vogliono. In fondo lo Stato italiano non gliele ha regalate. Sono state erogate il più delle volte a seguito del versamento dei contributi per quasi mezzo secolo. È vero che all'orientamento politico neoliberale che caratterizza i nostri governi dal 2011 in qua, il fatto che un pensionato possa espatriare e spendere i soldi della sua pensione all'estero non piace proprio. Ma è anche vero che è un loro diritto. Certo al ladro non interessano i diritti altrui. Questo è poco ma sicuro. E i neoliberali sono a tutti gli effetti dei moderni ladri che restano sempre e comunque impuniti. A ben vedere poi non è vero che i pensionati non pagano le tasse in Italia. La maggior parte dei paesi nei quali si recano per trascorrere la loro vecchiaia non ha una convenzione contro la doppia imposizione con l'Italia, per cui lo Stato italiano si prende le tasse relative alle loro pensioni senza dover erogare i corrispondenti servizi e i pensionati devono ritenersi fortunati se i loro redditi già al netto delle imposte non vengono tassati una seconda volta anche nel paese in cui risiedono. In questa ottica la riduzione dei servizi alle comunità italiane all'estero, sia in termini di consolati che di scuole italiane potrebbe essere intesa come una conseguenza di questo cambiamento? Le difficoltà che si incontrano in alcuni paesi come Argentina e Brasile per la concessione della cittadinanza possono essere viste nell'ottica di "ridurre", o almeno di non incrementare, il numero degli italiani all'estero che non contribuiscono più all'economia nazionale? Una riduzione dei servizi alle comunità italiane all'estero non ha senso, è controproducente e rappresenta una perdita in termini economici per l'Italia. Alla base di questa volontà di riduzione dei servizi ci può esserci il solo scopo di distruggere una risorsa che avvantaggia l'Italia nei confronti delle altre potenze industriali del mondo. Il problema in sé è di facile comprensione: non si ragiona più secondo logica, ma secondo luoghi comuni, slogan, pregiudizi diversi e una grossolana superficialità sta alla base di ogni discorso. Ridurre la quantità di italiani che gravitano in altre economie e che apportano all'economia italiana tramite il turismo di ritorno e il consumo del made in Italy, alimentari, moda, tecnologia ecc. nonché tramite la domanda di servizi culturali all'Italia non è un'idea che viene in mente a chi vuole tutelare gli interessi dell'Italia. E non si tratta nemmeno di una mancanza di visione futura da parte dei nostri governi o, meglio, della Farnesina. Non è che non si intenda rinunciare a qualcosa nel breve termine per ottenere un vantaggio nel lungo termine nel senso che l'assistenza anagrafica e consolare possa dare pur sempre dei frutti in futuro. La retorica qui non c'entra niente. Ci sono questioni economiche che contano e che mettono l'italia in vantaggio rispetto ad altri paesi industrializzati perché l'Italia possiede l'indiscutibile risorsa di cinque milioni di italiani residenti all'estero. L'obiettivo dei burocrati italofobi della Farnesina è uno solo: lo smantellamento della rete diplomatica italiana nel più breve tempo possibile e la drastica riduzione del numero di italiani all'estero, impedendo loro l'esercizio del diritto alla cittadinanza. Purtroppo a ragionare per luoghi comuni, per sentito dire, dando retta a pregiudizi insensati e soprattutto mantenendosi a un livello completamente superficiale non è il modo migliore di capire come stanno veramente le cose e che cosa bisogna fare per cambiarle a vantaggio degli italiani all'estero e degli italiani in patria. Gli italiani all'estero votano. Essi devono votare compatti per chi conosce i loro problemi. Non temiamo che il diritto di voto ci possa venire tolto. A tal fine, infatti, dovrebbe essere modificata la costituzione e sappiamo per esperienza che non è una cosa facile. Coloro che dall'estero troveranno un posto in parlamento perché li voteremo saranno degli ambasciatori di ritorno. Il loro compito non sarà quello di sedere nelle comode poltrone che cullano da sempre i sonni di tanti parlamentari di sinistra, di destra e di centro. Il loro compito sarà quello di vigilare, di reagire, di esporre, di informarsi e di utilizzare tutte le forme di lotta a loro disposizione per tutelare gli interessi di chi li ha votati. Questo è il criterio secondo cui le comunità italiane della circoscrizione Estero dovranno esercitare il loro diritto di voto nelle prossime imminenti elezioni.